Dicono di me

I CRITICI D'ARTE

STEFANO BETTINI

Stefano Bettini è un artista che non riesco a definire, so solo che dopo anni ogni sua
opera, sia pittorica che letteraria, riesce a fermare il tempo, a creare incanto e a
stupirmi. Pittore e Poeta, performer innamorato dell’amore, è rinato, afferma, dopo
che, in età adulta, si è addentrato nell’alto mistero dell’arte, con volontà e coraggio,
rivoluzionando il suo vivere e, parafrasando il viaggio di Paul Gauguin, ha iniziato il
suo percorso. Nel tempo ha acquisito uno stile personale inconfondibile, ha unito
tecniche diverse, riflettendo sulle tonalità, le cromie, i segni e l’oggetto che diviene
forma e simbolo. Di sé stesso dice di essere un artista concettuale autodidatta.
Il suo fare arte è una risposta a una chiara domanda interiore, per lui creare è un
bisogno, una necessità e un desiderio di proiettare ed esprimere il suo universo
interiore, quasi fosse l’ancestrale moto che, in un tempo codificato come preistoria,
spinse un uomo, forse una donna, molto probabilmente giovane, a camminare nel
buio per mezz’ora in una grotta, illuminando lo spazio con una torcia fatta di corna
di cervo e resina, attraversando, ad un certo punto, un varco di trenta centimetri.
Una volta giunto davanti alla parete, è plausibile dedurre che questa persona non
fosse sola, ma insieme ad un’altra che teneva ferma la torcia, affinché si
squarciasse il buio e potesse fissare la forma di una mano, impressa con dell’ocra
rossa sulla parete dove la grotta si allargava come fosse una sala. Quella persona,
settantamila anni fa, lasciò un segno indelebile perchè quell’universo interiore
non perisse con la materia, ma restasse indelebile oltre il tempo e i tempi. Ma
interessante è come Stefano Bettini si ponga in relazione con chi l’opera guarda,
non attribuendo un significato assoluto all’operazione artistica e al significante
che si rivelerà a opera finita, non è un misantropo che deve spaziare nei suoi
solitari antri per creare, tutt’altro: il concetto dell’artista come guru o sciamano che
necessita di ostentare la sua diversità e che si astrae per sondare il mistero con Bettini
perde ogni valore, egli compie una vera e propria azione di coinvolgimento insieme a
chi l’opera guarda.
Il suo fare arte unisce e coniuga poesia, raffigurazione e rappresentazione e ogni
opera si può ricondurre alla sua ricerca linguistica e letteraria. Questa sua analisi non
si evidenzia soltanto nell’opera finita, ma anche e soprattutto nel momento
dell’ispirazione che diviene idea e nell’azione che rende immagine l’idea. Per lui il
pensiero, i mezzi, le cromie, gli oggetti, la tecnica sono contemporaneamente oggetto
e soggetto che premettono e attuano la ricerca.
L’azione che rende immagine l’idea non è istintiva, né estemporanea o casuale,
Stefano Bettini segue il suo spartito, risponde alla necessità, al desiderio e a un
bisogno interiore profondo e, come un direttore d’orchestra che entra nel golfo
mistico, compone il suo brano e dirige la sua partitura. È la stessa modalità ancestrale
che spinse la prima persone a tracciare un segno su di una parete perché di quel
momento si potesse un giorno capire e rivivere il senso. È il bisogno di rendere eterno
quell’attimo che ferma il tempo e ci fa sentire che l’amore è molto, molto più forte
della morte. Stefano Bettini è un autodidatta sì, ma la sua ricerca continua ed assidua
gli ha donato un’anima intellettuale, ma non certo pacata, egli è infatti uno studioso
attento, meticoloso, esigente e irrequieto come dovesse affrontare Crono che
anzitempo lo privò delle ali per innalzarsi dove ora osa volare.
L’irrequietezza e la volubilità che lo connotano, come hanno connotato molti artisti,
non lo rendono alienato, in quanto nel suo caso, come già scritto, l’arte è
comunicazione, è fare gruppo e amicizia che si salda con l’empatia. È l’arte che gli ha
permesso di essere sempre più coerente con sé stesso e di portare a termine i suoi
progetti letterari e artistici. Bettini, pur non accettando l’etichetta dell’artista che si
aliena e deve esistere per forza di cose lontano dalla “normalità”, ama quella
naturalezza che proviene dalla condivisione dei sentimenti e dalla scoperta della
Bellezza che diviene unione degli animi e affine a quell’Amore che è risposta ad ogni
domanda. Questa sua capacità che negli anni è divenuta competenza, gli ha permesso
di eccellere sia nella professione che nel fare Arte e di essere considerato un punto di
riferimento per quegli eventi in cui la creatività non è solo estro, ma punto di analisi,
scoperta e messa in gioco dei sentimenti. La sua vita è già stata costellata da
cambiamenti e da periodi intermittenti tra attività e veri e propri naufragi ed è stata la
poetica del fare arte che lo ha fornito di chiglia, scafo, albero maestro e vele per
riprendere in ogni tempo la sua rotta.
Il mondo dell’arte e delle esposizioni talvolta è una sorta di giostra in cui girano
lustrini, mondanità e volti sofisticati dalle mille maschere, ma la sua sete di ricerca e
la sua vocazione a trasformare l’attimo in un evento che sa di eterno, gli hanno
permesso di avere una percezione che sa della sensibilità insita in ogni fanciullo e che
si perde nel corso della post adolescenza. Per questo Stefano Bettini sente più d’ogni
altro la fragilità dell’involucro che contiene il suo universo interiore e si salva
riparando scafo e vele, ritirandosi quando quell’involucro rischia d’essere
compromesso ed opacizzato.
È così che il suo Giovane Vecchio e il suo Vecchio Giovane tendono a considerare
preziosa la vita che ha il sapore della casa e della famiglia e sente e vive le abitudini
familiari come essenza forte da cui difficilmente potrebbe distaccarsi, è anche da
questo che deriva il suo obiettivo di far gruppo con l’energia del fare arte.
È affascinato dall’oceano del subconscio e in lui c’è un amore innato per tutto ciò che
è ascrivibile alla sfera dello spirituale e quei misteri che si svelano con l’esternazione
dell’anima, attraverso l’idea che si materializza col comporre l’opera d’arte.
Quest’aspetto pone il suo fare arte in una dimensione che congiunge l’analisi
spirituale dell’astrattismo e gli slanci emotivi dell’espressionismo, tanto da aver
rivestito di questo la sua esistenza, consapevolmente orgoglioso di essere privilegiato
nel vivere questa esperienza così affascinante, bellissima, ma estremamente fragile e
pura.
Ed è così che la sua individualità necessita, per vocazione quindi, di manifestarsi
pubblicamente e talvolta di celebrare la sua energia che con il suo fare arte si esprime.
È necessaria però una prima riflessione storico-artistica per apprendere appieno
l’opera letteraria e artistica di Stefano Bettini. Con l’avvento dell’Espressionismo si
stabilì soprattutto una condizione rivoluzionaria rispetto a ciò che era stata prima la
coscienza dell’artista in relazione alla storia e alla natura. C’era alla base della nascita
del movimento una cultura antiaccademica, che respingeva ogni ispirazione che
potesse venire dal potere costituito, sia politico che culturale. L’artista era perciò
libero e il suo fare arte liberante. È bene considerare che il vero espressionista, ante
litteram, fu senz’altro Van Gogh seguito, per certi versi, da Gauguin nella sua ricerca
di un primitivismo che potesse rispondere a un progresso e a politiche che avevano
aumentato le distanze tra i ceti sociali piuttosto che avvicinarle. In ogni caso il germe
che genera l’espressionismo è la ricerca di una libertà che è vera e propria voce
dell’anima. È un’esigenza che alcune persone provano indipendentemente dal loro
status; non è necessaria una condizione di privazione dei diritti o limitativa della
libertà di espressione, di pensiero o fisica, perché ciò che s’intende è una forma
mentis che si proietta nelle espressioni che rivelano un animo incapace di sottostare a
qualsiasi condizione, parametro, compromesso. Sono uomini e donne indomite che
scendono a patti e condividono alcuni vincoli solo quando questi permettono di dar
ancor più risalto alla loro infinita voglia di libertà. Ma è a queste persone che si deve
il progresso civile di ogni comunità umana.
È così che il fare arte di Stefano Bettini si inserisce in un quadro storico artistico
letterario. Nella restituzione tecnica delle sue opere è  palese una meditazione
spontanea e attenta sui dipinti dei maestri dell’action painting che, nel 1952 , Harold
Rosenberg denominò, più precisamente, col nome di  espressionisti astratti. I
protagonisti sono artisti come Jackson Pollock e Willem de Kooning che concepivano
la pittura come una sorta di arena all'interno della quale venire a patti con l'atto stesso
della creazione.
Ciò che si poteva definire opera d’arte non era soltanto il dipinto, ma l’atto stesso del
dipingere. Per Clement Greenberg , critico d’arte americano, ciò che era geniale negli
artisti dell’espressionismo astratto era l'oggettività delle loro opere. Per Greenberg, la
fisicità delle superfici coagulate e incrostate d'olio dei dipinti era il codice per
comprenderli, come documenti della lotta esistenziale degli artisti. Ma Bettini
analizza, studia e rielabora il pensiero estetico di Vasilij Vasil’evic Kandinskij e lo
fonde, in maniera mirabile, con lo stile e la poetica di Gerhard Richter. È così che
ogni sua opera diviene una sorta di iperspazio dove il continuum pittorico fa
percepire altri piani, altre dimensioni, altre mondi paralleli. Ma la scintilla che muove
l’espressionista è come quel fuoco che cova sotto la cenere, sembra spento, ma può
ancora ardere e scottare. È così che l’animo volitivo di Stefano Bettini e la sua
coscienza di uomo senza tempo né tempi gli permettono di improntare la sua ricerca
nell’Astrattismo inteso nella sua radice etimologica, cioè astrarre, tirar fuori, ed è
quest’aspetto che muove ogni sua ispirazione. Infatti, ogni opera non è frutto di una
estemporaneità, ma è la pianificazione razionale nell’usare colori che diventano
forma nel libero spandersi sul supporto. Ogni gesto è misurato, come ogni espansione
delle materie cromatiche che lui plasma con l’aria, con l’acqua, la terra e il fuoco.
Non sono espedienti tecnici, ma il voler fondere l’spirazione eterea e trascendente
con gli elementi dell’immanente.
Ogni opera di Bettini è un racconto al modo di Kandinskij, infatti, la composizione
cromatica è sì formata dal colore, che assume una spazialità che sa d’infinito, ma la
chiave del tutto sta nel fondo, nei parametri spaziali che posso essere letti solo se non
poniamo i limiti della razionalità. È così che colore e forma, nel suo fare arte, non
possono esistere separatamente nelle sue composizioni. Egli realizza quel contrasto
che evidenzia il vero. L’accostamento tra forma e colore, nelle sue opere, si basa sul
rapporto tra materia cromatica, o singole forme, con il fondo. Non c’è casualità nel
suo fare arte, né estemporaneità e lo dimostra la sua preziosa capacità nella
rappresentazione grafica; il suo disegno, i particolari femminili, la linea che definisce
la caviglia d’una donna, la definizione leggera e bellissima d’un gesto ed una costante
ricerca del femminile che rimanda alla Niche mentre si slaccia un sandalo, attribuita a
Fidia.
È una bellezza che supera l’untuosa banalità occidentale e si veste di quello stile
eterno che un tempo regnava nel Peloponneso. È un Eros, quello di Stefano Bettini,
che sa di vita, di iperuranio, di anima, di poesia.
Le sue pietre, i ciottoli trovati sul greto del fiume, gli oggetti incollati e il lettering,
che induce alla precisa percezione del concetto, sono il consapevole intento di
rendere la poesia nel vero senso etimologico del termine.
Se si considera che la parola Poesia ha il suo etimo nel termine latino pŏēsis, in greco
ποίησις, derivato a sua volta da ποιέω che vuol significare produrre, fare, creare e, in
senso più esteso, comporre; se quindi ogni creazione artistica è Poesia che raggiunge
il suo culmine quando riesce a coinvolgere chi della poesia è fruitore, allora Stefano
Bettini è un poeta, un vero poeta che elabora, trasforma e qualifica la materia fino a
rendere l’opera finale un autentico brano poetico. È così che l’oggetto diviene un
demone, un ponte che permette di arrivare all’incanto e di percepire il sentimento,
l’emozione.

Tuttavia, c’è un’altra riflessione necessaria per comprendere a pieno il fare arte di
Bettini: l’arte non è l’oggetto, il reperto, non è l’opera in quanto tale, è sì certo anche
quello, ma soprattutto il flusso che si genera quando si guarda l’opera d’arte finita.
L’Arte, quindi, non è qualcosa che è attinente solo all’elaborato, non è soltanto
l’opera come oggetto materiale, sarebbe riduttivo e fuorviante, l’Arte è piuttosto il
dialogo che si crea tra l’oggetto e chi lo osserva.
In lui questo flusso si genera anche mentre crea, plasma, colora, attende che l’aria
spinta dal compressore emani il colore, si genera quando usa il fuoco perchè le
tonalità si fondano, creando galassie nello spazio misurato e smisurato del fondo, si
genera poi guardando l’opera e dall’opera si facendosi guardare. L’Arte è, dunque,
un’entità che non ha fisicità, ma è flusso, è mezzo, è il varco appunto che l’artista
attraversa perché si realizzi quest’evento, questa, oserei dire, “rivelazione”. È questo
il secondo aspetto necessario per entrare nell’estetica di quest’artista.
Bettini non qualifica soltanto la materia, le conferisce piuttosto una fisionomia, un
volto, una spazialità, un’aura così che essa diventi qualcosa di diverso da quel che era
prima dell’incontro con l’artista. Ogni opera d’arte è una sorta di scintilla che
trasmette luce, inesauribile; l’artista usa l’oggetto affinché divenga veicolo di
trasmissione di un sentimento che solo a lui appartiene. L’Arte è un’energia che si
tramanda da millenni, da sempre e per sempre. 
In questo contesto l’artista che si esprime con il linguaggio astratto si pone
innanzitutto il problema dell’osservazione e del discernimento dei moti dell’anima.
Ciò che muove e motiva il suo fare arte non è il dar forma ad una particolare musa
arcana, né il rappresentare un oggetto che possa essere luogo di una meditazione
filosofico – estetica, ciò che per lui è motivo di ispirazione è la consapevolezza di
lavorare in un contesto personale, interiore che si esprime e prende voce con il colore
e il comporre con esso, realizzando il suo scopo, che è quello di emozionarsi ed
emozionare, nient’altro. Egli compone le sue opere studiando le forme e il colore di
fondo, il piano che divine Spazio perché possano armonizzarsi quelle geometrie che
si espandono come costellazioni leggibili solo da cuori ed occhi capaci ancora di
ricevere l’incanto e di stupirsi
Fu Kandinsky a sostituire la nozione di campo a quella di spazio: campo è
precisamente un'estensione, una porzione di infinito, determinata dalla interazione di
forze agenti simultaneamente ed il suo insieme forma un sistema dinamico che si
percepisce e si spiega con i parametri cartesiani. Se poi riflettiamo in un senso nuovo
sul termine spazio, allora possiamo intendere che l’artista può dar figura a un
frammento reale di spazio che sfugge ai limiti della coscienza umana. È questo il
significato che Kandinsky estrasse dalla ripetizione sperimentale e verificò iniziando
dallo scarabocchio infantile. Questo spiega la dedizione di Stefano Bettini per la
letteratura volta al pubblico dei bambini; non è quindi un espediente letterario ma un
sondare appieno quell’universo perchè possa renderlo e renderci adulti migliori.
Il suo è un atteggiamento volitivo, una sorta di tempesta perenne che muove
dall’interno, dai pensieri reconditi, dalla passione verso un amore che è fusione della
carne e si spinge verso quell’Eros che distinse il Caos dal disordine e creò la Summa
Bellezza, il Cosmo. Attinge dai ricordi, dall’anima e proietta sé stesso verso l’esterno,
verso il supporto, verso lo spazio, verso l’osservatore, verso quella realtà che si
percepisce con la ragione, ma che ha bisogno del cuore e del coraggio per superare
quell’impatto iniziale di sentirsi troppo adulti. La sua ricerca espressiva si realizza
attraverso segno, parola e colore, non gli interessa la ricerca formale come
perfezione, che pure si evidenzia nella sintesi grafica dei disegni. La funzione
dell’arte per Bettini è pura comunicazione tra artista e realtà. Ciò che, in effetti,
muove il suo fare è la ragione che deriva dalla riflessione di un’osservazione della
realtà oggettiva, ma anche la coscienza dell’uomo che ha già un vissuto; ma di più,
ciò che anima quest’artista è la ragione dei sentimenti che non può avere tempi, non
ha età e non sente l’egemonia di Crono. Vive la pulsione del momento, trasforma
l’energia interiore in gesto che diviene esso stesso opera d’arte.
Stefano Bettini è animato dalla stessa scintilla eterna che regolò la creazione e muove
ancor oggi ogni persona che vive dell’Amore per la ricerca, infine, della felicità.

                                       Prof. Alberto D’Atanasio

Docente M.I.U.R. di Storia dell’Arte, Semiologia dei Linguaggi non Verbali
incaricato per l’Estetica dei Linguaggi Visivi. Teoria della percezione e Psicologia della forma

 

 

STEFANO BETTINI 

UN PITTORE E UN POETA

 Con il “post modernismo” l’artista acquisì una nuova consapevolezza e capacità sia a causa, e  merito, delle relazioni con le nuove tecniche di restituzione grafica, di stampa, con le influenze che provenivano dal cinema il quale si arricchiva del colore e di nuovi linguaggi estetici, sia dalle tensioni che provenivano dalla società civile, economica - politica e dalla comunità scientifica che rivelava le nuove scoperte in ambito nucleare e medico.

La società a metà degli anni ’50 aveva bisogno di nuovi modelli che fossero sintesi di progresso,novità e un nuovo ideale di bellezza che fosse anche sinonimo di benessere. La necessità era quella di riuscire a cancellare i mostri della guerra e della fame, soprattutto quelle immagini che erano circolate con la scoperta dei lager nazisti e le conseguenze dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Le strade percorse dagli artisti furono sostanzialmente quella di riscoprire quelle filosofie che permettessero la rielaborazione della filosofia estetica del Dada, così da rielaborare gli oggetti della produzione seriale delle moderne fabbriche, o quella di trovare un figurativismo che fosse l’evoluzione del primo cubismo o di un astrattismo che fosse invece sintesi dell’esperienza espressionista. In questo periodo fondamentale fu la lezione tutta italiana, del neorealismo che divenne modello di satira  critica e nuova indagine  iconologica . Stefano Bettini è figlio di quel tempo e di questi tempi, possiede la rara capacità di riassumere un animo da poeta e uno da eterno ragazzo, una sorta di guitto tra wryter e disegnatore. Ha un talento evidente che lo ha portato a un’elaborazione scientifico empirica sulle mescole delle tinte e le teorie di Johannes Itten. Le sue opere hanno le freschezza dell’estemporaneità, ma in effetti, Stefano dosa ogni elemento e struttura l’immagine in modo che la matita spezzata, il quadrato aggettante, lo spruzzo di colore, e la siluette elegante, femminile di una caviglia che si libera da una scarpa con il tacco, diano all’osservatore l’essenza stessa del’armonia.

Mirabile è la capacità di rendere dialettica una matita colorata  spezzata nel gambo di balza che si staglia su uno spruzzo di vernice complementare alla matita stessa. Ogni sua opera offre le stesse emozioni di un brano musicale che comincia o di uno che finisce. Si percepisce che qualcosa è accaduto e qualcos’altro sta accadendo nel divenire delle vibrazioni delle tinte, del colore che è colato della macchia che dilaga da una matita colorata conficcata nel supporto. In ogni suo quadro si rispecchia l’animo di un uomo che ha intrapreso un viaggio e che ad ogni tappa invece di riposare guarda altri orizzonti e altre mete da raggiungere. Un vero esploratore Stefano Bettini, l’arte per lui è solo un espediente per non rimanere in panne e sentire che il viaggio è terminato. Lo si capisce dalle poesie che scrive, lo si evince dallo sguardo curioso e attento, lo si nota dal suo amore per il bello. Le sue opere dicono che la sua concezione di bellezza è la base per ogni esperienza, per ogni conoscenza. Ciò che non è bello e rende migliori, per quest’artista, è sinonimo di malvagità e va combattuto. Ma Stefano Bettini è un pittore e un poeta, non combatte con la violenza, usa colori e le parole dell’anima.

Stefano come Eros cerca Psiche, trovata la bacia la porta sull’Olimpo e con essa genera la Passione colei che permette agli uomini di impegnarsi con cuore e mente in armonia… Lei fa sì che donne e uomini diventino immortali con le opere compiute in vita, quelle che restano nei ricordi, nella memoria,  la Passione la più bella tra le grazie….

                                                                   Alberto D’Atanasio

Dalla parola si parte ed alla parola, irrimediabilmente, si ritorna. Invertendo i consueti rapporti che legano immagine e pensiero, formulazione visiva – per propria natura “diretta” - e costruzione verbale, Stefano Bettini pare introdurci all'interno di un universo che, a partire dalle proprie premesse, risulta sovvertito, capovolto.

Guidato probabilmente dalla sua frequentazione con la scrittura, l'artista tende a sottolineare come indissolubile, biunivoco il legame tra forma e parola. E' qui – specialmente – che si costruisce l'enigma.

I quadri, dalle immagini prevalentemente semplici, a volte stilizzate, spesso accennate, acquistano ulteriori e molteplici significati una volta poste in parallelo al titolo, non accessorio all'opera, ma parte integrante ed autentico coprotagonista. 

Pare quasi che Bettini si serva della costruzione del quadro per veicolare pensieri o sensazioni personali, aumentandone la forza attraverso la creazione dell'immagine.

L'idea acquista vitalità, si reifica nell'icasticità del segno, diviene linguaggio libero e capace di stimolare ulteriori, molteplici pensieri.

L'amore – tema centrale nella poetica dell'artista – si aggroviglia attorno ad una linea di speciale amara ironia o, come già la chiamava la civiltà greca del quinto secolo, “ironia tragica”:l'immagine malinconica ed in sé rattenuta è pronta a volgersi in commedia o in cinica costatazione di fatto, ineludibile e non modificabile.

La ricerca di una simbologia, di una serie di elementi che ritornano come caratteri distintivi sottolinea un bisogno di immediatezza e semplicità, un'immagine che sia direttamente riconoscibile, ma porti con sé una molteplicità e stratificazione di ulteriori gradi di pensiero ( si pensi alla figura stilizzata ed infantile del cuore, capace di evocare infinite varietà e tonalità spirituali ).

Decisivo, a questo riguardo, sottolineare la fisicità, la materialità che informa l'intera opera di Stefano Bettini: l'immagine, la figura, la narrazione escono dal quadro, si propongono all'osservatore che può toccarle, sentirle, accarezzare una storia dipinta su un sasso e consegnata all'universo.

In questo risiede l'autenticità dell'artista: nell'essere in grado di complicare di significati l'estrema semplicità della materia, dispiegando l'enigma come un gioco da non trascurare, di cui prendersi cura e non disperderne lo stupore.

 

Alberto Gross

In un istante...Tu...Poesie d'Amore e d'altro

 

Un libro interessante. Un poeta dovrebbe scrivere con sentimento ed emozione, in modo da gratificare il suo pubblico. Secondo i miei studi di psicologia e bioetica, sono i sentimenti e le emozioni a generare la storia delle persone. E' indubbio che Stefano Bettini abbia navigato nella vita, sperimentando gioia e dolori. I testi sono brevi, concisi, emozionanti; "acchiappano" e si leggono volentieri. Le illustrazioni sono veramente belle e si legano bene al testo nella loro semplicità, sono graziose e poetiche anch'esse. Consiglio la lettura a chi desidera navigare un po' nella vita, anche con un pizzico di eros realistico, che Stefano ha il coraggio di esprimere. Tra le poesie che ho letto, quelle che mi hanno appassionato di più sono le seguenti: Il senno di poi, Una gemma, Davvero niente, Nella testa dell'artista, Pinot, Ho sempre i tuoi occhi. Lo stile è asciutto, adatto all'attimo poetico che si cerca di rivivere e trasmettere nella poesia e nelle composizioni di eros, chi ha vissuto ci si può anche ritrovare e sentirle risonanti elemento questo della risonanza emotiva che è presente in tutti i componimenti di Stefano. 

Mario De Cesare

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